giovedì, agosto 17, 2006

Emancipazione politica, economica e sociale del territorio e delle genti del Veneto

L’obiettivo di questo intervento è uno sforzo maieutico finalizzato alla determinazione di un piano attuativo di emancipazione politica, economica e sociale del territorio e delle genti del Veneto.

I tentativi del passato e anche del presente tesi a tale scopo hanno finora fatto leva sul semplice metodo elettoralistico. Oserei aggiungere metodo elettoralistico fine a sé stesso, ovvero finalizzato al benessere di chi ne ha tratto i benefici diretti di rappresentante politico di uno stato il cui re è una classe politica autoreferenziale e corrotta, oltreché, cosa più grave, incapace. O meglio, di una cosa è stata profondamente capace: l’avvilimento del nostro territorio, della nostra economia, della nostra identità.

Il metodo elettoralistico è stato utilizzato principalmente dalla Lega Nord di Umberto Bossi (non più tronitruante), di cui è parte la Łiga Veneta. In passato, all’inizio e a metà degli anni ’70, direttamente attraverso quest’ultima. Ancor prima (negli anni ’70), si registra il tentativo forte di Antonio Bisaglia di enucleare la sezione Veneta della Democrazia Cristiana. Tale tentativo fu stroncato sul nascere dalla DC e dall’intelligence italiana. Altri progetti minori sono il piccolo partito PNE (Progetto Nord Est), che divide la base elettorale leghista soprattutto nel trevigiano e nel vicentino, e formazioni minori della galassia Venetista, spesso fuoruscita dalla Łiga Veneta in diverse fasi politiche durante gli anni ’80 e ‘90.

Ma qual è il modello cui si ispirano tali tentativi?

Non quello catalano, perché nessun partito veneto, o lombardo-veneto (la Lombardia ha alcuni tratti comuni con il Veneto) che sia riesce ad influenzare il governo centrale come Convergència i Unió riesce a fare con Madrid (tale modello è quello auspicato d’altro canto dalla quasi totalità dei partiti Veneti attuali).

Non quello basco, poiché non abbiamo una rappresentanza politica di destra e di sinistra nazionali del Veneto. Le destre e le sinistre che raccolgono voti in Veneto sono di diretta emanazione romana, semplici sezioni locali di partiti nazionalisti italiani.

Non quello scozzese, che oltre alla presenza di un forte partito nazionale scozzese nutre l’apporto culturale di testimonial quali Sean Connery e la fierezza e l’orgoglio di un popolo che si sente tale da secoli.

Non quello bavarese, che vede i propri interessi difesi dalla costola bavarese (CSU) del principale partito popolare tedesco (CU). Per inciso, questo era il modello perseguito da Bisaglia.

Ancor più distanti sono i modelli irlandese e della ex federazione jugoslava, su cui nemmeno vale la pena soffermarsi, date le derive violente e autolesioniste di tali fenomeni.

Nasce quindi l’esigenza di un modello politico originale che si adatti alle specificità del Veneto e le interpreti al meglio.

Di fatto, per quanto si è visto finora, le azioni politiche dirette non trovano successo, poiché attivano una linea di scontro prematuro contro entità costituite dotate di poteri di controllo, persuasione ed indirizzo troppo forti da contrastare.

Bisogna individuare preliminarmente una condotta strategica intelligente che riesca a far crescere analoghi strumenti di resistenza ad attività antivenete

Anche azioni dimostrative pseudo-militari, o in ogni caso non elettoralistiche classiche, come la commemorazione del bi-centenario della scomparsa della Serenissima, con l’invasione di piazza San Marco con un tanko e l’occupazione del Campanile da parte di un commando di 8 Serenissimi patrioti, a distanza di qualche anno non sembrano aver lasciato molti ricordi di sé, od effetti di sorta, se non per gli strascichi legali per i poveri membri del Serenissimo Governo o addirittura vitali per il loro ideologo Bepin Segato, da poco scomparso.

Poca analisi politica del substrato Veneto è stata fatta finora. Senza tale analisi non si può andare da nessuna parte, poiché non conosciamo i punti di forza e le distintività dell’identità Veneta.

Quali sono le caratteristiche forti del Veneto? Ne elenco alcune:

  • Policentrismo
  • Assenza di metropoli
  • Sviluppo urbanistico diffuso
  • Capacità coloniale
  • Capacità gestionali
  • Capacità commerciali
  • Capacità produttive
  • Capacità agricole
  • Capacità turistiche
  • Posizione geografica strategica


Quali sono invece i punti deboli del Veneto? A mio avviso i principali sono:

  • Incapacità finanziarie
  • Rete di trasporti al collasso
  • Incapacità politica
  • Incapacità mediatiche
  • Incapacità di networking sociale
  • Declino linguistico

Apriamo un dibattito serio per scoprire quali sono le leve da utilizzare per la nostra emancipazione politica e sociale. Nessuna sfida, per ora, allo stato italiano. Solo un ritorvarci tra Veneti, nello spirito delle Modifiche al codice penale in materia di reati di opinione.

Ricordiamo infatti che, alla luce della Legge 24 febbraio 2006, n. 85, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 60 del 13 marzo 2006, non è più un reato perseguibile dalla Legge compiere atti nonviolenti diretti e idonei a menomare l’unità dello stato italiano.

È quindi legittimo auspicare una metodologia che non faccia ricorso al solo strumento elettoralistico, ma anche ad altri strumenti pacifici e non violenti quali:

  • La disobbedienza civile
  • La istituzione di patti di sindacato
  • La fondazione di movimenti di opinione
  • La creazione di network sociali
  • La realizzazione di enti privati o di carattere cooperativo
  • La fondazione di istituti di credito
  • La introduzione di attività editoriali e mediatiche
  • La realizzazione di attività commerciali
  • La ideazione di club, o di community

tesi al raggiungimento pacifico e nonviolento delle basi necessarie alla promozione dell’emancipazione politica e sociale del Veneto. Per utilizzare la loro lingua dantesca, anche al fine di non farsi riconoscere dal nemico centralista, il nostro slogan potrebbe essere: “non ti curar di loro, ma guarda e passa”.

Finora ci è mancato il senno, fratelli Veneti. Recuperiamolo in fretta.

Per quanto mi riguarda, nutro così poca fiducia nello strumento elettoralistico, che non voto per elezioni politico-amministrative dello stato italiano da ormai molti anni.

giovedì, febbraio 16, 2006

Kamikaze contro i marines: è puro terrorismo

Siamo nel campo delle opinioni, ma la sentenza riportata di seguito è quantomeno discutibile, non certo "salomonica" o degna di essere dichiarata "super partes". Sono quelle cose che ti fanno sperare di poter rinascere in un altro Paese in una vita futura, se sei uno che crede nella reincarnazione.

Personalmente spero di non aver mai aver nulla a che fare con i giudici di appello che si sono lanciati in cotanta decisione...

Bye, gianluca

Articolo tratto dal Corriere della Sera
«Kamikaze contro i marines, non è terrorismo»
Caso Daki e guerra in Iraq, le motivazioni dell'appello rafforzano le assoluzioni decise dal giudice Forleo

MILANO — «L'instradamento di volontari verso l'Iraq per combattere contro i soldati americani non può essere considerato sotto alcun aspetto un'attività terroristica». E questo nemmeno quando, come in questo caso, «appare chiaro il reclutamento di kamikaze».Le motivazioni del verdetto d'appello non solo confermano, ma addirittura scavalcano la sentenza del giudice Clementina Forleo, che il 24 gennaio 2005 fu pesantemente contestata per aver assolto tre integralisti islamici dall'accusa di terrorismo internazionale, pur ritenendo dimostrato che reclutavano mujaheddin per la guerra in Iraq. L'imputato diventato più famoso, il marocchino Mohammed Daki, è in realtà l'unico assolto da tutti i reati: per i giudici «condivideva le ragioni per le quali un musulmano doveva andare in Iraq a combattere» e le intercettazioni ne dimostrano «la disponibilità ad aiutare un aspirante combattente somalo» che gli chiedeva di «cedergli il suo passaporto», ma poi non l'ha fatto (anche perché si è accorto che la polizia stava per arrestarli), per cui «è stato solo occasionalmente coinvolto». Per gli altri due imputati, i tunisini Alì Toumi e Maher Bouyahia, la corte d'assise d'appello considera «provato che dal febbraio al marzo 2003 hanno collaborato con l'egiziano Merai e il mullah Fouad» (i due ex imam di Milano e Parma arrestati come capicellula) «aiutando i volontari musulmani a trasferirsi dall'Europa in Iraq per andare a combattere contro gli americani e munendoli di documenti d'identità falsi», ma neppure questo è terrorismo.Il verdetto di primo grado aveva messo in dubbio l'intercettazione chiave sul reclutamento di kamikaze. La sentenza d'appello, firmata dal giudice Rosario Caiazzo, lo considera invece pienamente provato (tanto da fare i nomi di tre kamikaze: Habib Waddani, Morchidi Kamal e Habib Sekseka) ma irrilevante: «Un atto può essere definito terroristico, in tempo di pace, anche quando determina solo un pericolo indiretto per la popolazione civile. Ma in una situazione di conflitto armato» questo rischio «ricorre con grande frequenza», ad esempio «in occasione dei bombardamenti », per cui contano «solo gli atti esclusivamente diretti contro la popolazione civile». «Non può quindi condividersi la tesi dell'accusa», cioè l'obiezione del procuratore Spataro secondo cui «le azioni suicide costituirebbero sempre (e di per sè) un pericolo per la popolazione civile».La sentenza non cita la strage di militari italiani nel novembre 2003 a Nassyria, ma indica due diverse date-spartiacque che lasciano il giudizio (forse volutamente) incerto: il giudice considera «fatto notorio» che «fino all'agosto 2003 in Iraq non si è verificato alcun attentato terroristico», perché solo da allora «le azioni suicide» hanno colpito «anche civili»; ma a metà sentenza sottolinea che «il periodo di occupazione militare» (parificabile a quello «stato di guerra» che legittimerebbe i kamikaze) «si è formalmente concluso solo il 30 giugno 2004 con il primo governo provvisorio iracheno».Per il giudice Caiazzo inoltre è provato che «i volontari dall'Europa venivano inviati in campi di addestramento militare gestiti da Al Ansar Al Islam», che era «una vera e propria organizzazione combattente islamica» con «frange favorevoli al terrorismo», ma questo «non basta» a provare l'accusa «individualmente per ciascuno» dei «reclutatori».Toumi e Bouyahia dunque meritano solo tre anni di carcere per i passaporti falsi e l'invio di clandestini in Iraq, mentre Daki va scarcerato con tante scuse.

domenica, febbraio 05, 2006

Solidarietà al Jyllands-Posten

Esprimo piena solidarietà al quotidiano danese Jyllands-Posten che ha ritenuto, nella propria natura di organo di informazione indipendente, di pubblicare le vignette ritenute basfeme da alcuni islamici. Non ritengo invece cosa saggia aver pubblicato la lettera di scuse a seguito di una reazione decisamente esagerata, pretestuosa e chiaramente indotta da irresponsabili capi politico-religiosi alla guida di stati confessionali che non accettano i principi di laicità occidentali.

Di seguito pubblico la lettera (in lingua inglese) rivolta dal Jyllands-Posten ai cittadini musulmani.


Honourable Fellow Citizens of the Muslim World
Morgenavisen Jyllands-Posten is a strong proponent of democracy and freedom of religion. The newspaper respects the right of any human being to practise his or her religion. Serious misunderstandings in respect of some drawings of the Prophet Mohammed have led to much anger and, lately, also boycott of Danish goods in Muslim countries.

[30.01.2006]
Please allow me to correct these misunderstandings.
On 30 September last year, Morgenavisen Jyllands-Posten published 12 different cartoonists' idea of what the Prophet Mohammed might have looked like. The initiative was taken as part of an ongoing public debate on freedom of expression, a freedom much cherished in Denmark.
In our opinion, the 12 drawings were sober. They were not intended to be offensive, nor were they at variance with Danish law, but they have indisputably offended many Muslims for which we apologize.
Since then a number of offensive drawings have circulated in The Middle East which have never been published in Morgenavisen Jyllands-Posten and which we would never have published, had they been offered to us. We would have refused to publish them on the grounds that they violated our ethical code.
Morgenavisen Jyllands-Posten attaches importance to upholding the highest ethical standards based upon the respect of our fundamental values. It is so much more deplorable, therefore, that these drawings were presented as if they had anything to do with Morgenavisen Jyllands-Posten.
Maybe because of culturally based misunderstandings, the initiative to publish the 12 drawings has been interpreted as a campaign against Muslims in Denmark and the rest of the world.
I must categorically dismiss such an interpretation. Because of the very fact that we are strong proponents of the freedom of religion and because we respect the right of any human being to practise his or her religion, offending anybody on the grounds of their religious beliefs is unthinkable to us.
That this happened was, consequently, unintentional.
As a result of the debate that has been going on about the drawings, we have met with representatives of Danish Muslims, and these meetings were held in a positive and constructive spirit. We have also sought in other ways to initiate a fruitful dialogue with Danish Muslims.
It is the wish of Morgenavisen Jyllands-Posten that various ethnic groups should live in peace and harmony with each other and that the debates and disagreements which will always exist in a dynamic society should do so in an atmosphere of mutual respect.
For that reason, Morgenavisen Jyllands-Posten has published many articles describing the positive aspects of integration, for example in a special supplement entitled The Contributors. It portrayed a number of Muslims who have had success in Denmark. The supplement was rewarded by the EU Commission.
Morgenavisen Jyllands-Posten takes exception to symbolic acts suited to demonise specific nationalities, religions and ethnic groups.

Sincerely yours

Carsten Juste Editor-in-Chief

Solidarietà a Danimarca e Norvegia

Per quanto poco possa contare il mio pensiero, vi tengo e tengo alla sua libertà e alla possibilità di espressione. Per tale ragione, nel mio piccolo, esprimo la solidarietà più piena ai Popoli di Danimarca e Norvegia. Nel contempo, biasimo la pavidità e la strumentale ignavia degli occidentali che non stanno al fianco dei propri fratelli ingiustamente perseguitati da fanatici religiosi che nessun altro interesse hanno se non quello di conservare i loro strumenti di manipolazione culturale ben unti col grasso dell'ignoranza.

E così sia.

Giane

giovedì, dicembre 29, 2005

Le avventure di Polo e Jack

Dopo Matisse (a cui mando un bacio lassù dove si trova a giocare con i suoi nuovi amici a 4 zampe), ecco due nuovi padroncini della casa azzurra:
POLO & JACK,
al secolo Marco Polo e Union Jack.
Potete leggere le loro esilaranti avventure sul loro blog personale: http://poloejack.blogspot.com/
Continua la tradizione felino-bloggereccia anche per i nuovi arrivati !!
Good bye, Giane

mercoledì, agosto 24, 2005

Il blog di Matisse

Bene bene, come avrete visto anche Matisse ha un suo blog: http://matisse-gatto.blogspot.com/

Vederemo nei prossimi giorni cosa vorrà scriverci!

bye, giane

martedì, agosto 23, 2005

il mio blog (diario di bordo)

Bene,

ho già dato vita ad alcuni blog tematici e ad un sito.
Questo vuol essere invece il mio diario di bordo.

Impressioni, emozioni, stati d'animo, piccole grandi cose del quotidiano, per non navigare a vista!

Gli ultimi giorni di agosto, piovosi come non mai, servono proprio a questo, a mettere un pò d'ordine nella sfera emozionale.

Bye, giane